Ordinanza n. 243/2002

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ORDINANZA N.244

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI         

- Riccardo CHIEPPA  

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK        

- Francesco AMIRANTE        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 376, primo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 1° febbraio 2001 dal Tribunale di Vercelli nel procedimento penale a carico di N. C. e altra, iscritta al n. 829 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2001.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 10 aprile 2002 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.        

  Ritenuto che nel corso di un procedimento penale per il reato di favoreggiamento personale, il Tribunale di Vercelli, con ordinanza del 1° febbraio 2001, ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 376, primo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede la ritrattazione come causa di non punibilità per chi, richiesto di fornire informazioni dalla polizia giudiziaria che agisca di propria iniziativa, abbia reso dichiarazioni false o, in tutto o in parte, reticenti;

  che l’ordinanza di rimessione riferisce, in fatto, che si procede nei confronti di due imputati, per il reato di favoreggiamento personale (art. 378 cod. pen.), in relazione a dichiarazioni non veritiere da essi rese alla polizia giudiziaria – nell’ambito di indagini da questa svolte su un delitto - ma poco dopo ritrattate;

  che, stante la circostanza che le sommarie informazioni sono state raccolte dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa e non su delega del pubblico ministero, il rimettente osserva che la rilevanza del dubbio di costituzionalità prospettato é data dal fatto che l’accoglimento della richiesta di assoluzione per l’applicazione della causa di non punibilità della ritrattazione a norma dell’art. 376 cod. pen., formulata dalla difesa degli imputati, presuppone la risoluzione della questione sollevata;

  che, sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il giudice a quo muove dalla sentenza della Corte costituzionale n. 101 del 1999, che – per l’equivalenza, quanto a utilizzabilità nel seguito del processo, degli atti diretti e di quelli delegati, e in considerazione del fatto che la ritrattazione già costituiva causa di non punibilità per il reato di false informazioni al pubblico ministero di cui all’art. 371-bis cod. pen. - ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 376, primo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede la ritrattazione come causa di non punibilità per chi abbia reso dichiarazioni false o reticenti alla polizia giudiziaria delegata a riceverle dal pubblico ministero;

che, alla luce del quadro normativo che é venuto a delinearsi per effetto della citata decisione, al rimettente appare irragionevole e in contrasto con il principio di uguaglianza la mancata estensione della predetta causa di non punibilità della ritrattazione anche alle dichiarazioni false o reticenti rese alla polizia giudiziaria che abbia agito di propria iniziativa, anzichè su delega del pubblico ministero, in particolare in considerazione (a) dell'identità delle condotte materiali che possono risultare rilevanti nelle diverse ipotesi, (b) dell'"omogeneità del bene protetto", consistente nel garantire la funzionalità di ogni singola fase del procedimento, (c) dell'identica rilevanza processuale, quanto a utilizzabilità in dibattimento, delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria e al pubblico ministero da persone informate sui fatti (artt. 500 e 512 cod. proc. pen.), e (d) della pari gravità dei reati sopra considerati, "quale risulta dagli apprezzamenti del legislatore stesso circa la misura della pena prevista per l'illecito commesso di fronte alla polizia giudiziaria e per quello di fronte al pubblico ministero";

  che a fronte di tale identità o equivalenza di disciplina processuale - secondo il rimettente - sul piano del diritto sostanziale non si riscontra un identico trattamento delle false dichiarazioni rese, rispettivamente, di fronte al giudice (art. 372 cod. pen.), al pubblico ministero (art. 371-bis cod. pen.) e alla polizia giudiziaria (art. 378 cod. pen.), posto che la causa di non punibilità della ritrattazione di cui all’art. 376 cod. pen., come integrato dalla richiamata sentenza n. 101 del 1999, non si applica a tutte le predette ipotesi, rimanendone escluse le dichiarazioni false o reticenti rese alla polizia giudiziaria che agisca di propria iniziativa;

che tale difformità di disciplina tra le informazioni false o reticenti rese all’autorità giudiziaria e alla polizia giudiziaria che agisca su delega, da un lato, e le dichiarazioni false o reticenti rese alla polizia giudiziaria che agisca di propria iniziativa, dall’altro, sarebbe pertanto lesiva dell’art. 3 della Costituzione, poichè, pur qualificandosi la ritrattazione come norma di eccezione rispetto ad una normativa più generale, non potrebbe il legislatore esimersi, in mancanza di un giustificato motivo, dal realizzarne integralmente la ratio, senza per ciò stesso peccare di irrazionalità;

che nel giudizio così promosso é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità o l'infondatezza della questione.

Considerato che il Tribunale di Vercelli dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 376, primo comma, cod. pen., nella parte in cui non stabilisce che la causa di non punibilità della ritrattazione ivi prevista si estenda al reato di favoreggiamento personale (art. 378 cod. pen.) che sia realizzato attraverso false o reticenti dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni assunte direttamente dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa (art. 351, comma 1, cod. proc. pen.), assumendo che detta disciplina contrasterebbe con il parametro invocato per l’irragionevole e ingiustificata disparità di trattamento rispetto all'ipotesi di chi realizzi il medesimo fatto di favoreggiamento personale attraverso false o reticenti dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria operante su delega del pubblico ministero (art. 370, comma 1, cod. proc. pen.), ipotesi nella quale, a seguito della sentenza n. 101 del 1999 di questa Corte, la causa di non punibilità della ritrattazione é applicabile;

che, chiamata a pronunciarsi su questione analoga e sollevata in riferimento al medesimo parametro costituzionale, questa Corte, con la sentenza n. 424 del 2000 (anteriore all’emanazione dell’ordinanza di rimessione, ma di cui il giudice a quo non tiene conto), ha escluso l’esistenza di una irrazionale contraddizione nella differenziazione della disciplina delle dichiarazioni false o reticenti rese alla polizia giudiziaria che agisca di propria iniziativa - dichiarazioni eventualmente rilevanti sotto il profilo del reato di favoreggiamento personale - rispetto alla disciplina delle dichiarazioni per le quali invece la causa di non punibilità é prevista, cioé per le dichiarazioni false o reticenti rese al pubblico ministero e, secondo l’estensione operata con la sentenza n. 101 del 1999 di questa Corte, per le medesime dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria che agisca su delega del pubblico ministero;

che nella citata pronuncia si é in particolare sottolineato come l’omologazione tra le dichiarazioni rese al pubblico ministero e quelle rese alla polizia giudiziaria da quest’ultimo delegata fosse necessaria, alla stregua del principio di uguaglianza, in quanto si trattava esclusivamente di "forme diverse della medesima attività", e come invece la stessa affermazione non fosse ripetibile in relazione al raffronto tra le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria operante di propria iniziativa, da un lato, e la polizia giudiziaria delegata dal pubblico ministero, dall’altro, poichè alla diversità soggettiva degli organi che ricevono le dichiarazioni in argomento corrisponde una differenziazione cronologica nell’ambito delle indagini, tale da giustificare che la ritrattazione non sia applicabile nel primo caso, cioé quando l’obiettivo primario per il quale é posta la sanzione penale – assicurare la tempestività e l’efficacia delle indagini – risulti irrimediabilmente compromesso e non più recuperabile, nemmeno con postume ritrattazioni, ciò che dimostra l’esistenza di un elemento di differenziazione che rende non irragionevole la censurata diversificazione della disciplina;

che inoltre nella stessa decisione si é osservato che, in mancanza di un diritto costituzionale alla ritrattazione delle false dichiarazioni rese nel processo penale, deve riconoscersi in materia una ampia discrezionalità del legislatore e altresì che la richiesta possibilità di ritrattazione delle dichiarazioni rese nell’immediatezza alla polizia giudiziaria finirebbe per costituire un incentivo a rendere informazioni false o reticenti e così a intralciare il momento di avvio delle indagini, ancora una volta contraddicendo lo scopo fondamentale della disciplina penale apprestata al riguardo;

che, in mancanza di argomenti o di profili nuovi nell’ordinanza ora in esame, non v’é motivo di discostarsi dalle conclusioni raggiunte nella citata pronuncia, cosicchè la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 376, primo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Vercelli, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2002.